La gentilezza: la soft skill rivoluzionaria che ci fa sentire bene
La gentilezza: forza innata dell’essere umano
La gentilezza è la prima forma di compassione. Non è una qualità soprannaturale o una virtù straordinaria: è qualcosa che ci appartiene da sempre. La gentilezza è connaturata al nostro essere umani, forse nel vero senso della parola. È profondamente umana, anzi, è forse ciò che ci rende davvero tali.
Mi fermo. Mi osservo. Ho l’affanno anche se non ho corso, eppure mi sembra di vivere una continua maratona contro il tempo. Ma non una qualsiasi, la maratona di New York, perché se le cose vanno fatte, devono essere fatte solo al meglio. Devo essere competitivo/a, bravo/a, utile per questa società. Una società in cui non c’è spazio per quelle che sono definite le soft skills, le abilità morbide, quelle che releghiamo in un angolino del Curriculum Vitae “perché non sono veramente importanti”. Sembrano un lusso per le anime fragili. Ma è davvero così?
Apparentemente sfuggono al criterio dell’utile e quindi vengono chiamate “morbide”, ma considerate troppo spesso “deboli”. Prima della lista: la gentilezza. Un termine che è raramente, o forse mai, attribuibile alla società moderna.
Gentilezza, gratitudine, perdono, empatia, inclusione, interconnessione e interdipendenza sono le forze femminili del nuovo millennio, afferma il biologo naturalista Daniel Lumera. Queste attitudini modificano addirittura i nostri geni, ci fanno vivere più a lungo e sono la strategia evolutiva vincente rispetto alla violenza e alla competizione.
La gentilezza è una soft skill innata nell’essere umano, non è esclusiva di un genere o di una cultura. E se non ci viene naturale? La risposta è: si può imparare. Come ogni forma d’arte interiore, nasce dalla pratica. Sempre più rare nella nostra società sono le buone maniere, che impongono un linguaggio garbato fatto di “posso?”, “per favore”, “grazie”, “prego” e via dicendo. Sembrano gesti d’altri tempi, ma racchiudono un intero mondo di rispetto e connessione.
La gentilezza non è un atto formale, è considerazione e apprezzamento della dignità del nostro prossimo. È consapevolezza dell’interconnessione che lega gli esseri umani e l’ambiente, che ci fa capire che la mia felicità non può prescindere dalla tua.
Viviamo in un sistema che considera la gentilezza una debolezza. Ma è davvero così? O forse, come scrive Gianrico Carofiglio, la gentilezza è il vero antidoto alla violenza sociale e politica? Gianrico Carofiglio, nel suo saggio “Della gentilezza e del coraggio (Feltrinelli)”, ne dà una valenza anche politica.
“Il più potente strumento per disinnescare le semplificazioni che portano all’autoritarismo e alla violenza. I populismi e i fascismi vivono dell’elementare, micidiale logica che divide il mondo in amici e nemici; prosperano usando i meccanismi di creazione dei nemici e dunque dei capri espiatori. La gentilezza come metodo per la gestione dei conflitti – anche di quelli più accesi e violenti – serve a disattivare quei meccanismi”.
Come praticare la gentilezza nella vita frenetica moderna
Quante volte sembriamo sgarbati, distanti, distratti, senza volerlo. Solo perché siamo troppo presi dalla frenesia quotidiana, vittime di un tempo veloce che asfalta emozioni e sentimenti.
La pratica della gentilezza viene dal profondo, rompe il guscio del piccolo io e ci fa connettere con l’altro, sprigionando empatia e rafforzando il senso di appartenenza alla nostra specie. Quando ti senti visto, accolto e compreso cambia tutto. È un modo di stare nel mondo. Una postura interiore che dice: “Io vedo te, anche se sei un estraneo”. Questa scelta ha un effetto domino: crea fiducia, armonia, senso di comunità. Contribuisce a creare valore nella società.
Nel momento in cui la convinzione del profondo rispetto per ogni persona entra a far parte di noi, si specchia inevitabilmente in tutte le cose. È come se elevassimo il registro dei rapporti umani a un grado superiore.
Questo non significa che non perderemo mai le staffe o che non avremo pensieri meno onorevoli. Significa che, anche in questi casi, saremo in grado di osservare il nostro cuore e la nostra mente, di considerare le circostanze da altri punti di vista. Così facendo potremo schiarire le nubi della collera, delle incomprensioni, di una visione parziale della realtà.
Con la gentilezza si conquistano nuovi orizzonti, si schiudono nuove possibilità, si scopre che la vita può avere un passo completamente diverso. Inoltre, in quel paesaggio i primi a essere felici e a proprio agio siamo proprio noi.
Spesse volte la gentilezza viene messa alla prova. È opinione diffusa che al mondo d’oggi per essere vincenti si debba essere più simili a squali, piuttosto che a farfalle. La gentilezza, per quanto ammirevole e nobile, non conviene. È sintomo di debolezza, offre il fianco a chi tende a imporsi e ad approfittarsene. Spesso ci rallenta e ci allontana dall’idea di ottenere i risultati che vorremmo realizzare.
“La gentilezza è il fiore della forza” diceva José Martì, eroe rivoluzionario dell’indipendenza cubana. Il maestro buddista Daisaku Ikeda aggiunse poi: “Il fiore della gentilezza sboccia a profusione nel cuore dei forti”.
La gentilezza nasce da un cuore puro. Una fragranza interna, quasi impercettibile, che è capace di ispirare fiducia e tranquillità nelle persone che ci circondano. Non è buonismo: è coraggio attivo, è scelta consapevole.
Di fronte alle ingiustizie e alle azioni malvagie, che corrispondono alla negazione della dignità della vita propria e altrui, è necessario lottare. Chi non si oppone al male ne è complice. Ciò che ribalta la situazione è l’impegno di creare attivamente il bene.
Perché praticare gentilezza ogni giorno?
In un mondo che corre, che misura il valore delle persone in base a quanto producono, ottenere risultati è spesso visto come priorità assoluta. In questo contesto, la gentilezza può sembrare un lusso, una debolezza, o qualcosa da rimandare a tempi migliori.
Eppure, è proprio nei giorni più caotici, nei momenti più tesi e nelle relazioni più fragili che la gentilezza si rivela per ciò che è davvero: una forza sottile e potentissima. Un’energia trasformativa, capace di generare benessere reale e duraturo. Non si tratta solo di essere gentili per educazione, ma di scegliere consapevolmente di coltivare uno stato interiore di apertura, empatia e presenza.
Ecco perché praticarla ogni giorno può fare la differenza.
- Rafforza le relazioni
Quando scegliamo la gentilezza, costruiamo ponti. Uno sguardo accogliente, una parola premurosa o un piccolo gesto possono trasformare un incontro casuale in un momento significativo. La gentilezza crea un terreno fertile per relazioni sane, durature e autentiche, fondate sulla fiducia reciproca. In famiglia, sul lavoro, tra sconosciuti: è lo strumento più semplice e potente per entrare in connessione. - Riduce lo stress
I benefici della gentilezza si riflettono anche sul corpo. Diversi studi scientifici dimostrano che praticare atti gentili riduce i livelli di cortisolo, l’ormone dello stress, favorendo uno stato di rilassamento naturale. Quando sei gentile con te stesso e con gli altri, rallenti. Respiri. Ritrovi un ritmo più umano. La gentilezza è un rifugio, una pausa di bellezza nel frastuono della quotidianità. - Stimola la produzione di serotonina
Ogni volta che compiamo un gesto gentile, anche il più semplice, il cervello rilascia serotonina, l’ormone del benessere. Questo accade non solo in chi riceve l’atto gentile, ma anche in chi lo compie e in chi vi assiste. È una forma di guarigione silenziosa, che agisce in profondità. Come una carezza invisibile che lenisce e nutre. - È contagiosa: genera fiducia, armonia e cooperazione.
La gentilezza si propaga come un’onda. Un sorriso può scatenare altri sorrisi. Un gesto altruista può ispirarne molti altri. La gentilezza modifica l’ambiente, i gruppi di lavoro, le comunità. Innesca una dinamica di reciprocità positiva, in cui fiducia e collaborazione diventano la norma, non l’eccezione. - È la via per un cambiamento autentico, dentro e fuori
Vivere con gentilezza significa praticare una forma quotidiana di rivoluzione interiore. Ogni gesto consapevole di cura, ogni scelta non violenta, ogni parola detta con grazia contribuisce a trasformare il mondo intorno a noi. È un modo di abitare la vita in sintonia con i propri valori più profondi, in armonia con gli altri e con la natura.
Scegliere la gentilezza ogni giorno non è sempre facile. Richiede attenzione, ascolto, presenza. Ma è anche una delle decisioni più profonde che possiamo prendere per il nostro benessere e quello collettivo. È come seminare piccoli semi di bellezza, che germogliano nel tempo. Dentro di noi e fuori, nel mondo. E quando ti sentirai stanco, scoraggiato o sopraffatto, ricorda: la gentilezza è un ritorno a casa. A ciò che sei davvero.
Le radici filosofiche della gentilezza
Platone già nel IV secolo a.C., descrivendo nella Repubblica le caratteristiche della città giusta, metteva a confronto i termini agathon e kakon, che rispettivamente in greco antico significano “buono, ben fatto e quindi utile” e “cattivo, nocivo, e dunque inutile”. Basandoci su questi significati, “fare del male” equivarrebbe a “rendere peggiori”. Questa spiegazione sottolinea come peggiorare qualcuno non potrà in alcun modo portare un effetto utile e positivo alla collettività.
Nella sua idea di polis giusta, sosteneva quindi che non bisogna nuocere ai nemici, ma renderli amici. È l’unico modo per costruire una società davvero giusta, affinché la collettività sia regolata dalla collaborazione invece che dalla competitività.
Come ci insegna il neurobiologo Stefano Mancuso, anche un antico bosco naturale è una comunità gentile. Gli esseri che ci vivono si sostengono gli uni con gli altri e cooperano insieme, lasciando sempre l’ambiente, che ha sostenuto la loro vita, in condizioni migliori di come l’hanno trovato. Ogni albero ad esempio, coopera con gli altri, migliorando l’ambiente per tutti. È la logica della collaborazione, non della competizione.
Gentilezza come atto rivoluzionario
Scegliere la gentilezza ogni giorno è una rivoluzione personale e collettiva. Un gesto piccolo può diventare virale, contagioso, trasformando il clima emotivo del nostro tempo.
“Mi è successo una volta”, racconta una nostra amica, “in un momento qualsiasi ma che non ho più dimenticato. Ero in auto, alla guida, nell’acrobatico traffico milanese. In ritardo, stressata, arrabbiata, agitata. Un’auto mi taglia la strada e, d’istinto, mi attacco al clacson. Poi ci muoviamo. Quell’auto mi affianca. Fermi tra le macchine, il signore alla guida mi guarda, mi sorride e mi chiede con tono sincero: «Ti sei spaventata?». Scoppio in lacrime, sentendo sciogliersi dentro ogni groviglio di tensione. Quell’estraneo, contro cui avevo appena urlato, mi aveva vista. Mi aveva capita. Aveva scelto di essermi “amico”. Mi aveva disarmata. Così, in mezzo al traffico, tra le lamiere e le frustrazioni, tutto era cambiato. Ricambiando il sorriso coi lacrimoni, ho fatto sì con la testa. Ci siamo salutati.
Non l’ho più dimenticato.”
Essere gentili è una scelta di campo, un potere morbido e incisivo, un’eleganza di sguardo e gesto che modifica gli scambi, i risultati e i processi. È un modo che sorprende, disarma, accoglie.
Se dovessi indovinare gli ingredienti, come in un frappè colorato, la gentilezza è un mix di altruismo, empatia, garbo, eleganza, bellezza, generosità. Un frappè che quando lo offri o lo sorseggi ha il potere di mettere a proprio agio, di far sentire riconosciuti, apprezzati, benvoluti, di dare valore a ogni istante, ai gesti piccoli come a quelli grandi. Una bevanda dell’anima che nutre chi la offre e chi la riceve. Fa stare bene. Trasforma.
E allora sì, essere gentili è un potere sottile, un atto politico, spirituale e personale. Una rivoluzione interiore che crea cambiamento esteriore. Come un seme che, coltivato con cura, genera un nuovo mondo.
Nella tempesta di spinte, suggestioni, strattoni che portano a muoversi nel mondo in maniera competitiva e spesso sgarbata, la gentilezza è un atto rivoluzionario, di libertà e bellezza. Un atto potente di cambiamento climatico sociale, familiare e personale.
Gentilezza e convivenza: un nuovo approccio alla diversità nella società contemporanea
Viviamo in una società che si interroga sul senso della diversità. Recenti riflessioni sul tema parlano di convivenza delle differenze, un’espressione più rispettosa di integrazione e meno paternalistica di inclusione. Si suggerisce di aggiungere, di ampliare, laddove si svelino nuove identità, e non di trovare necessariamente categorie già esistenti che le inquadrino. È una sfida, sì, ma anche una grande opportunità evolutiva.
La convivenza è quindi una scommessa non facile, un processo di accoglienza reciproca a molte variabili di cui, direbbero i matematici, non si ha una soluzione analitica ma solo sperimentale.
In questo mondo complesso, la persona mite, come scrive Norberto Bobbio, non cerca di vincere, ma di vivere bene. In equilibrio, senza sopraffare. “ll mite non entra in rapporto con gli altri con il proposito di gareggiare, di confliggere e alla fine di vincere. […] L’unico mondo in cui vorrebbe vivere è quello in cui […] non ci sono gare per il primato, né lotte per il potere, né competizioni per la ricchezza, e mancano insomma le condizioni stesse che consentano di dividere gli uomini in vincitori e vinti”.
La gentilezza ha la forza di trasformare il mondo in un luogo migliore. Ma ha anche un’altra prerogativa: ci fa sentire bene. Ogni giorno hai la possibilità di scegliere. Puoi rispondere al mondo con durezza o con delicatezza. La prossima volta che sei nel traffico, stressato o di fretta, fermati. Respira. E chiediti: cosa accadrebbe se scegliessi la gentilezza?
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Sono Veronica, digital marketing addicted e copywriter per professione. Scrivo testi che emozionano con anima SEO. Sono un’appassionata da sempre del web e delle tecnologie digitali. Mi definisco una persona curiosa intraprendente, determinata, e flessibile.