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Come stai? Scopri il segreto di uno stato vitale alto

Una domanda quotidiana, un’occasione per riflettere

Come stai?” È una delle espressioni che pronunciamo e ascoltiamo di più. Tra le volte in cui la poniamo e quelle in cui ci viene rivolta, possiamo stimare di imbatterci in questa domanda anche quindici volte al giorno, cioè circa cinquemila in un anno.

E quante volte rispondiamo “Bene”, “Si va avanti”, oppure “Dai…”, “Insomma”, “Guarda lasciamo stare”, o a trovare espressioni originali per dare un po’ di imprevedibilità a uno scambio stereotipato. Certo che a prendere seriamente la domanda apparentemente banale, le conversazioni potrebbero durare anche ore. Qui possiamo prenderci un po’ di tempo per cogliere un’opportunità, riflettere sul nostro stato vitale e trovare le nostre risposte.

Possiamo rispondere con ironia, sarcasmo, allegria o con pesantezza, fatica o infine, cogliendo l’occasione per analizzare la nostra situazione attuale. Oppure evitare di rifletterci su, perché “alla fin fine le cose vanno vissute senza stare a pensarci troppo!”. Ma cosa accadrebbe se dedicassimo un momento per esplorare davvero come stiamo?

Come stai? Che sia una domanda che rivolgiamo agli altri, che gli altri rivolgono a noi o che noi facciamo a noi stessi, la risposta inevitabilmente attinge a un caleidoscopio di condizioni vitali che influenzano le nostre giornate e mutano a ogni istante. Mutano in funzione di come ci relazioniamo con il mondo, interno o esterno a noi, nei vari momenti di quotidianità che viviamo.

Lo stato vitale non è semplicemente un riflesso dell’umore o delle circostanze esterne. È la percezione profonda di essere parte di un tutto, un equilibrio che ci connette con noi stessi e con il mondo.

Cosa significa avere uno stato vitale alto?

Non è solo felicità apparente. Avere uno stato vitale alto non significa essere sempre sorridenti o avere una visione edulcorata e non realistica delle situazioni. Spesso viene il dubbio di cosa sia veramente.

Intanto partiamo da cosa non è lo stato vitale. Per esempio non è l’umore, si può essere molto su di giri e non avere una condizione vitale ampia (o stato vitale alto). Non è neppure essere sempre allegri, insomma non ha a che fare con l’umore che abbiamo nelle varie circostanze.

Non è neanche qualcosa che deriva dall’esterno, non è la gioia di un successo o che proviamo quando succede qualcosa di bello, né la soddisfazione che sentiamo quando risolviamo un problema. Ma quindi potresti pensare che va di pari passo e invece no. O almeno non per forza!

Semmai un’elevata condizione vitale è a monte, riguarda la percezione di una connessione con il resto per cui nulla ci è estraneo.

Diciamo che è la consapevolezza che tu includi tutto e tutto include te. Che non per forza è essere allegri o spensierati o senza sofferenza. È percepire l’eterno scorrere della vita e farne parte. È qualcosa che è più simile alla saggezza. È una condizione interiore di comprensione e accettazione, sia nel senso di capire sia nel senso di abbracciare e contenere, includere tutto. È la capacità di abbracciare ogni aspetto della vita, anche i più difficili, mantenendo uno sguardo ampio e inclusivo.

In questa condizione vitale sono compresi anche i punti di vista altrui, per esempio, che non necessariamente diventano il tuo, ma sono possibili, comprensibili, compatibili con visioni differenti.

Per questo, in quella condizione vitale accediamo a un punto di vista panoramico sulla vita e sugli eventi. Quando siamo in uno stato vitale elevato, riusciamo a vedere possibilità e soluzioni che prima sembravano irraggiungibili. È come salire su una montagna e osservare l’intera vallata: i problemi appaiono più chiari, e le vie per superarli emergono naturalmente. È ciò che trasforma anche le situazioni più complesse in opportunità di crescita.

Il filosofo svizzero Carl Hilty disse : “Anziché irritarsi perché la rosa ha le spine, dovremmo rallegrarci del fatto che una pianta spinosa abbia la rosa”.

E il Maestro buddista Daisaku Ikeda commenta: “A seconda del modo di guardarle, le cose cambiano totalmente e anche la situazione più sgradevole può diventare fantastica.”

Ritrovare i propri punti di riferimento

La nostra è una società confusa, dove spesso si perde ogni punto di riferimento rispetto ai valori e a ciò che dovrebbe avere più importanza. Dove le informazioni che riceviamo ci plasmano senza che neanche ce ne accorgiamo e il nostro modo di vivere è spesso condizionato dal giudizio degli altri.

In questa società che spesso smarrisce valori e priorità, è fondamentale chiederci: “Quali sono i miei punti di riferimento?”, “Ci sono delle persone che offrono un esempio a cui ispirarmi?” e soprattutto “Chi ispira la mia vita?”. Queste riflessioni ci guidano verso una maggiore consapevolezza e verso la scelta di un maestro o una filosofia che ci supporti nel cammino.

Queste domande hanno una particolare rilevanza, poiché nella ricerca di un Maestro di Vita, di fede umanistica, un tale insegnamento essere collegato con le convinzioni più intime e profonde che ciascuno di noi ha, relative ai grandi temi come la visione della vita, della morte e dell’eternità.

La relazione tra maestro e discepolo ha un legame trasformativo. In un rapporto di parità, uguaglianza e indipendenza, il maestro trasmette ciò a cui si è ispirato, il discepolo decide di far propria la visione del maestro e di metterla in pratica.

È il discepolo a scegliere il maestro: questo è un punto cruciale. Sulla base di questa consapevolezza è basilare riflettere sinceramente su quale punto di riferimento abbiamo scelto, o sceglieremo, nella nostra vita. Questa dinamica è alla base della crescita personale e dell’accesso a uno stato vitale di illuminazione: una felicità assoluta che persiste anche nelle avversità.

Per dischiudere un vasto stato vitale, dobbiamo immergerci nelle circostanze della vita quotidiana, spesso fonte di sofferenza e dissapori, dove abbiamo la possibilità di adottare una prospettiva “illuminata”, per fare di ognuna di esse un’occasione per creare valore.

Possiamo allora definirla felicità assoluta, o anche stato vitale di illuminazione: è una gioia che abbraccia tutto, che si sperimenta anche nel mezzo della sofferenza più grande, perché ci appartiene incondizionatamente ed eternamente. È la gioia che equivale alla fede nelle illimitate potenzialità della vita.

Un maestro è tale perché ha dedicato l’intera vita, oltre ogni ostacolo o difficoltà, a far sì che tutte le persone, nel presente e nel futuro, possano sperimentare un tale stato vitale di gioia. Quando anche noi sperimentiamo davvero questo incredibile potenziale che la vita racchiude, in modo naturale e spontaneo ci ritroviamo a desiderare la stessa cosa che ha animato i nostri maestri: che tutti possano vivere una simile felicità. È il momento in cui si concretizza il legame tra maestro e discepolo.

E scopriamo che quando agiamo per rendere realtà questo desiderio fondamentale, la gioia aumenta ancora. Allora, quando chiederemo “Come stai?”, pur sapendo che la risposta potrebbe essere evasiva o sbrigativa, possiamo farlo con la sincera aspirazione di abbracciare la persona che abbiamo di fronte, accoglierla, sostenerla. Condividendo il segreto che sì, anche lei, può aprire dentro di sé una sconfinata condizione vitale.

Lavoro di squadra: la rete di Indra

E poi c’è anche un lavoro di squadra, la forza della collaborazione.

Viene quasi naturale, quando ci si sente impotenti di fronte alle tragedie di questo tempo, sperare che qualcuno si prenda la responsabilità del cambiamento. Ma per elevare lo stato vitale dell’umanità non basta “uno bravo”. Non basta che qualcuno vinca le elezioni invece di qualcun altro. Non bastano alcune persone illuminate. E non basta neanche una grande idea. A volte ci illudiamo, ma poi ci rendiamo conto che non è così. È un pensiero che non funziona, che ci porta a mettere la testa sotto la sabbia e a cercare vie per anestetizzarci. Serviamo tutti e tutte, siamo tutti essenziali.

In questi periodi difficili, per trasformare il karma dell’umanità ci vuole un lavoro di squadra. L’unica strada percorribile per uscire dal vicolo cieco in cui si trova la società di oggi è che le persone credano nelle reciproche capacità e lavorino insieme per farle emergere.

Un po’ come nella rete di Indra, dove in ogni nodo c’è un gioiello che illuminandosi dà luce agli altri e ne riflette il bagliore. Non esistono punti privilegiati in questa visione del cosmo, così come non ci sono nell’universo reale. Quindi è l’azione che ci rende forti e potenti al cambiamento.

Perché riconoscendo la sofferenza di quella singola persona come se fosse la nostra, o semplicemente impegnandoci a farlo, troviamo la motivazione ad agire, a cercare dentro di noi la condizione vitale più autentica e sincera per infondere speranza.

Come nella rete di Indra, questo nostro lavoro interno/esterno si allarga al mondo e il senso di quella sofferenza si trasforma, non più dolore sordo ma motore di cambiamento: personale (la nostra rivoluzione umana) e globale (la pace nel mondo). In contemporanea e insieme, senza un prima e un dopo o un dentro e un fuori.

Il filosofo spagnolo José Ortega y Gasset cita “Io sono me stesso più il mio ambiente”. Ogni individuo percorre la sua esistenza, vita dopo vita, portando con sé tutti coloro a cui è legato, come se fosse una grande nave nel mare universale.

Un aneddoto di Arun Gandhi, narratogli del Mahatma suo nonno, racconta invece: un uomo camminando sulla spiaggia trovò sulla sabbia molte stelle marine. Sapendo che una volta sorto il sole si sarebbero seccate e sarebbero morte, cominciò a raccoglierle una a una e a ributtarle in mare. Un altro gli si avvicinò e disse ridendo: “Ma guarda quante sono. È impossibile che tu riesca a salvarle tutte!”. E l’uomo, che ne aveva appena gettato una in mare, rispose: “No di certo, ma per questa farà una grande differenza!”». Chi si occuperà delle altre stelle marine, potremmo chiederci. Forse l’uomo scettico potrebbe riflettere su queste parole e cominciare anche lui a salvarle, fungendo a sua volta da esempio per altri e altre ancora.

Come mostra questa storia, concentrarci su quello che possiamo fare in questo momento e nel nostro ambito, senza farci condizionare dall’idea astratta di riuscire a incidere su tutto il resto, è la nostra occasione per dare inizio al cambiamento.

Chiedere “Come stai?” può diventare un invito sincero a connetterci con gli altri e a sostenerli. Ogni volta che agiamo con questa intenzione, condividiamo il segreto per accedere a uno stato vitale senza confini, costruendo insieme un mondo migliore.

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